
Una donna albanese, vittima delle violenze del padre e del futuro marito, fugge dal suo Paese al fine di evitare un matrimonio coatto ma, giunta in Italia, si vede rifiutare la protezione internazionale.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 20 aprile 2022 n. 12647 (testo in calce), censura la decisione del giudice di merito e ribadisce un importante principio.
La violenza di genere rientra tra le ipotesi di riconoscimento della protezione internazionale e il matrimonio imposto, con la reiterata violenza fisica e psichica consumata ai danni di una donna, costituisce violenza di genere. Infatti, per la giurisprudenza di legittimità, la coartazione al matrimonio non può considerarsi come fatto di natura privata ma rientra nell’ambito della violenza di genere, così come riconosciuto dalla Convenzione di Istanbul. Ciò vale, a maggior ragione, nei casi in cui le donne siano vittime di codici di comportamento, come il Codice del Kanun, applicato nelle aree rurali del nord dell’Albania, ove la posizione della donna è di totale subalternità all’uomo, al punto che, come si legge nelle fonti, ella è considerata “niente altro che un otre da riempire”.
La vicenda
Una donna chiedeva il riconoscimento della protezione internazionale e, in particolare, dello status di rifugiata, in via subordinata, il riconoscimento della protezione sussidiaria e, in estremo subordine, il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari. La competente commissione territoriale rigettava l’istanza e avverso tale provvedimento la donna presentava ricorso dinnanzi al tribunale. La richiedente narrava di essere fuggita dall’Albania, poiché i familiari volevano imporle il matrimonio con un uomo più anziano di lei di vent’anni. Ella aveva cercato di opporsi, fuggendo di casa, ma era stata ripresa e sottoposta a violenze fisiche e psicologiche. Aveva chiesto due ordini di protezione rispettivamente contro il genitore e il promesso sposo, ottenendo solo il secondo. Rientrata a casa, era stata ripetutamente picchiata dalla madre e minacciata dal padre che deteneva illegalmente armi da fuoco. Quest’ultimo era stato arrestato per la detenzione delle armi ma, a seguito del pagamento dell’ammenda, era stato scarcerato. La ragazza, per sottrarsi al matrimonio incipiente, trovava rifugio in un convento di suore che la aiutavano a fuggire in Italia, proprio il giorno prima della data fissata per le nozze.
Il tribunale considera plausibile la ricostruzione della vicenda narrata dalla ragazza, anche alla luce della documentazione prodotta, come gli articoli di giornale che riportavano l’accaduto; ciò nondimeno il ricorso viene rigettato. Si giunge così in Cassazione.
